Leggere questo libro, per quanto io avessi già una buona conoscenza della arti visive che narrano di Natura, mi ha colpito.
Ancora una volta mi è sembrato giusto farmi delle domande…
Stiamo forse insegnando alle persone e, soprattutto, alle giovani generazioni a cercare il sensazionalismo (cosa apparentemente molto umana, ma molto poco naturale)?
Stiamo danneggiando e uccidendo individui e specie cercando di offrire al pubblico esperienze eccitanti e (mai abbastanza) ravvicinate, soprattutto di specie a rischio di estinzione?
Le metodiche di commercializzazione e marketing con cui cerchiamo di catturare l’attenzione del pubblico non stanno forse avendo l’effetto di generare una domanda di “ancora di più”, più immagine e apparenza, più intrattenimento e stupore, meno cultura reale?
Non è per caso questo andare in posti selvaggi per ottenere la miglior preda che possiamo (anche se in forma di pixel), costi quel che costi, piuttosto sopra le righe?
Non dovrebbero certi workshop di fotografia naturalistica essere definiti battute di caccia, anche se non implicano armi?
Alcuni “clienti” chiedono incontri assicurati, vicini ed eccitanti.
E’ per questo che pagano. Non per l’esperienza di essere immersi in natura, di respirare aria non contaminata o per imparare qualcosa di più sugli ecosistemi e sulla loro fragilità.
Non pagano per la POSSIBILITA’ di osservare e fotografare creature selvatiche.
Pagano per risultati garantiti… a volte senza nemmeno preoccuparsi di porre in pericolo le vite dei loro “soggetti”.
Ma questo non è forse cacciare?
Non è inseguire… una preda?